lunedì 11 agosto 2014

Il Bricco Sturnèl di Bellaria:
appunti dalla serata
del 09 maggio 2014

C’è sempre una prima volta… e così al dodicesimo appuntamento di OltreLaStoria il protagonista è un vitigno non tradizionale del territorio oltrepadano, ma fra i più nobili e più diffusi al mondo: il cabernet sauvignon. Dopo gli onori di casa officiati da Giorgio Liberti, Paolo Massone, titolare dell'azienda Bellaria, ci racconta con passione la storia del Bricco Sturnèl, prodotto appunto con uve cabernet sauvignon integrate da un saldo di classica barbera casteggiana (cresciuto negli ultimi anni dal 20% a circa il 40%).

Siamo nel 1985 e il giovane Paolo, ultimo erede di generazioni di viticoltori insediati a Mairano di Casteggio fin dal 1600, guarda con ammirazione e interesse alle vicende della zona di Bolgheri, sulla costa toscana. In quegli anni il Sassicaia del marchese Mario Incisa della Rocchetta è già un vino di grande fama, e altre aziende hanno iniziato un'avventura che porterà etichette destinate al successo internazionale come il Grattamacco Rosso o l'Ornellaia. Ciò che affascina Paolo nei vini di Bolgheri è l’idea di base: impiantare in una zona legata a vitigni autoctoni, sangiovese in primis, varietà internazionali e riuscire a produrre vini di assoluta eccellenza. La sfida che ha in mente è di realizzare qualcosa di analogo in Oltrepò Pavese: un grande vino da cabernet sauvignon che contribuisca alla valorizzazione del territorio.

Mentore di Massone è Gianluca Ruiz De Cardenas, milanese in terra d'Oltrepò, galantuomo d’altri tempi, grande conoscitore di vini francesi, nonché garagiste di valore proprio a Mairano di Casteggio, sui terreni confinanti con quelli della famiglia Massone. Nel 1987 vengono piantate le prime viti di cabernet sauvignon, e nei primi anni Novanta inizia a prendere forma il progetto Bricco Sturnèl sotto la guida enologica del piemontese Giancarlo Scaglione. Il primo consiglio di Scaglione è di introdurre una percentuale di Barbera: l'acidità ne guadagnerà, e sarà salvo anche il richiamo alla tradizione casteggiana. Dopo un primo imbottigliamento nel 1992 segnato da una vendemmia da dimenticare, nel 1993 esce la prima annata 'vera' di Bricco Sturnèl: i risultati sono incoraggianti, ma non basta.

A quel punto arriva il secondo, decisivo consiglio di Scaglione, che esorta Paolo a "fare sul serio", cioè a ridurre drasticamente le rese. Si apre allora un aspro conflitto generazionale fra Paolo e il padre, perché la cosiddetta vendemmia verde, ovvero l’eliminazione di parte dei grappolini nella seconda metà di luglio per ottenere il meglio dai grappoli residui, è una cosa che gli uomini delle vecchie generazioni hanno fatto molta fatica a mandar giù da queste parti. Paolo, tuttavia, tiene duro: le basse rese sono la conditio sine qua non della qualità a cui ambisce e anche della personalità che dovrà avere il Bricco Sturnèl. Infatti, meno grappoli crescono sulla pianta, più le radici negli anni penetreranno in profondità nel terreno: il terreno riempirà pian piano l'acino, dando al vino sentori sempre più complessi e affascinanti. Il Bricco Sturnèl non nasce dunque da una banale rincorsa di una moda, ma da una filosofia rigorosa che bilancia internazionalità del vitigno e territorialità: a caratterizzare il vino non è tanto il vitigno, ma è il vigneto con il suo peculiare terroir (terreno, posizionamento, microclima).

Bene, la serata è l’ideale per verificare la teoria, in compagnia di amici come Emanuele Bottiroli, direttore del Consorzio di Tutela Vini dell'Oltrepò Pavese, Giuliano Boni di Vinidea e Danilo Gatti del blog Emicranie. Quattro annate “dispari”, la più giovane il 2003, bel banco di prova – il menu impegnativo quanto basta. Si parte con coppa e pancetta di Casa Chiesa stagionate oltre due anni e focaccia con i ciccioli. Per una volta, non degustiamo l'annata attualmente in commercio (il 2004), ma partiamo con il Bricco Sturnèl 2003: 60% cabernet sauvignon e 40% barbera, annata torrida, vigneto in prima collina: ovviamente vino sovramaturo, sovraestratto, superalcolico, direte voi… niente affatto, rispondiamo noi. Certo, il grado alcolico è salito oltre i 14, l’estratto secco è considerevole, eppure il vino nel suo complesso stupisce proprio per la sua freschezza, e per l’età – sono comunque 11 anni – e, giustappunto, per l’annata. Tutt’altro che seduto, ha mostrato un nerbo invidiabile, merito della presenza di barbera certo, ma anche di una consapevolezza dell’uso della materia prima notevole. Bravo Paolo e bravo Beppe Zatti, l’enologo che dal 1999 è subentrato a Scaglione nella conduzione tecnica dell’azienda.

Arriva la lingua salmistrata con tortino di verdure, gran piatto di Daniela Calvi. Vediamo come se la cava il Bricco Sturnèl 2001, di cui ho ricordi personali notevoli, anche se ormai piuttosto lontani nel tempo. Ebbene, notevole sì, il vino, anche se stupisce come appaia un po’ meno vigoroso del 2003. È vero che ha due anni di più, ma è anche vero che nasce da un’annata assai più favorevole. Comunque qui si ritrova in pieno la filosofia di cui si parlava all’inizio, perché cabernet finché si vuole (con il consueto saldo di barbera), ma questo è indubbiamente un vino oltrepadano. Ha una sua terrosità, una componente di frutto molto maturo che trascende il vitigno e riporta il terroir.

Il primo piatto è il risotto alla vogherese del dì di festa, ovvero peperoni col rinforzo del vitello. Soddisfazione massima, perché il Bricco Sturnèl 1999 si conferma una roccia a 15 anni dalla vendemmia. Equilibrato, vivo, sostenuto, con le note terziarie evolute piacevolmente. Un vino che all’epoca aveva fatto messe di premi, ampiamente meritati visto come ha tenuto il tempo senza fare un plissé.

Gli ospiti sono visibilmente soddisfatti, e allora ecco avanzare il piatto forte della serata: agnello del Passo Carmine al forno con patate. Piatto superbo, e Bricco Sturnèl 1997 ancora una volta all’altezza. Evoluto, con sentori quasi di idrocarburo, liquirizia, inchiostro e purtuttavia integro, saldo, etereo. Insieme, come curiosità enologica, Paolo ha voluto servire anche il Bricco Sturnèl 1993: vigneto e vignaiolo giovani, uno Sturnèl in nuce, ancora lontano dalla consapevolezza della terra e dell’uomo, comunque piacevole a oltre vent’anni dalla vendemmia – e non è poco, visto che questa, di tutte le degustazioni di OltreLaStoria, è quella in cui ci siamo spinti più indietro nel tempo. La crema soffice allo yogurt con salsa al miele e crumble di frutta secca conclude in gloria la serata.

Francesco Beghi

Ringraziamo Mauro Rossini per le fotografie

Le fotografie di Gianluca Ruiz De Cardenas e Giancarlo Scaglione sono tratte dai siti dell'azienda Ruiz De Cardenas e Forteto della Luja.


giovedì 19 giugno 2014

11 luglio 2014:
il Giorgi 1870 Brut Millesimato
dell'azienda Fratelli Giorgi
di Canneto Pavese

L'appuntamento estivo di OltreLaStoria rivedrà protagonista l'Oltrepò Pavese Metodo Classico DOCG a base Pinot Nero. Dopo le bollicine di Monsupello e Anteo, sarà la volta del Giorgi 1870 Gran Cuvée Storica Brut Millesimato, prodotto dalla Fratelli Giorgi. L'azienda di Canneto Pavese, le cui origini risalgono al 1875, è oggi una delle più note aziende vinicole oltrepadane, grazie alle felici intuizioni avute negli anni Settanta dai fratelli Gianfranco e Antonio Giorgi, il primo enologo e il secondo responsabile del marketing.

La nuova generazione, con Fabiano Giorgi affiancato dalla sorella Eleonora e dalla moglie Ileana, ha gestito successivamente il successo con intelligenza, riuscendo a coniugare una produzione superiore al milione di bottiglie con uno standard qualitativo di buon livello, che include anche etichette di riconosciuta eccellenza.

Il Giorgi 1870, dedicato al decennio che vide la nascita dell'azienda, è una di queste. Fiore all'occhiello di una quarantennale tradizione spumantistica, è un brut millesimato che riposa almeno 36 mesi sui lieviti, prodotto con uve pinot nero raccolte manualmente in cassetta in vigneti vocati a Montecalvo Versiggia, Santa Maria della Versa e Rocca de' Giorgi. Dopo aver debuttato sul mercato nel 1999, il Giorgi 1870 si è rapidamente imposto all'attenzione del mondo enoico, guadagnandosi numerosi riconoscimenti: i Tre Bicchieri del Gambero Rosso per cinque anni consecutivi (dal 2010 al 2014), i Cinque Grappoli AIS per due volte (2014 e 2013), le Quattro Rose Camune in tre edizioni di Viniplus (2014, 2012 e 2011), le Cinque Sfere di Sparkle 2014 e una candidatura agli Oscar del Vino 2013. Una continuità di risultati che testimonia il lavoro serio e ambizioso della squadra composta da Fabiano Giorgi, dal giovane enologo Matteo Olcelli e dall'esperto Alberto Musatti, la cui mano ha plasmato importanti etichette franciacortine.

Nella nostra serata, che sarà condotta come di consueto da Francesco Beghi, ripercorreremo le tappe di questi successi con una verticale dei millesimi 2009, 2008, 2007 e 2005, e degusteremo in anteprima il millesimo 2011 da bottiglie magnum sboccate à la volée in terrazza. In attesa di OltreLaStoria, potete leggere alcune recensioni presenti sul web: da quella di Franco Ziliani su Lemillebolleblog a quella di Mauro Giacomo Bertolli sull'edizione on line de Il Sole 24 Ore, dagli elogi di Massimo Zanichelli sulla webzine 3 Ricette sul Comò a quelli di Cucina e Vini, per finire con i blog Avvinando e Fratelli di Vino.

Ecco infine il menu proposto da Giorgio Liberti e Daniela Calvi:

Venerdì 11 luglio 2014 - Ore 20.30
Il Giorgi 1870 Brut Millesimato dei Fratelli Giorgi:
verticale di 4 annate

Aperitivo in terrazza
Magnum di Giorgi 1870 Brut Millesimato 2011 sboccate à la volée

Coscia di maiale cotta nel suo stampo,
tagliata tiepida al coltello e servita con purea di mele renette
Giorgi 1870 Brut Millesimato 2009

Farsulè di melanzane viola al profumo di maggiorana
Giorgi 1870 Brut Millesimato 2008

Gnocchi di patate con baccalà, pomodoro, cipollotto e olio extravergine d'oliva
Giorgi 1870 Brut Millesimato 2007

Faraona disossata con ripieno tipico dell'alta Valle Versa
Giorgi 1870 Brut Millesimato 2005

Pesca fresca cotta al forno
e servita nel suo guazzetto con gelato all'amaretto

La serata è proposta al prezzo di euro 50 (compresi vini, acqua e caffè).
I posti disponibili sono limitati e la prenotazione è obbligatoria.
Per informazioni e prenotazioni: 0385.99726 (Ristorante Prato Gaio).

OltreLaStoria è un progetto di Matteo Berté, Francesco Beghi, Giorgio Liberti e Roger Marchi.

Roger Marchi

sabato 7 giugno 2014

La Barbera Roncolongo
dell'azienda agricola Bisi:
appunti dalla serata del 28/03/2014

Febbraio 2001. L’allora quarantenne Francesco Beghi si reca al Prato Gaio in occasione di un compleanno. Gli viene consigliato dal titolare Giorgio Liberti un vino che non ha mai incontrato prima. Si tratta della Barbera Roncolongo 1998 dell’Azienda Agricola Bisi di San Damiano al Colle, al confine con il Piacentino. È amore a prima vista.

Marzo 2014. Ne sono passati di anni, e di vendemmie. Ed eccoci qui, di nuovo al Prato Gaio, di nuovo con il Roncolongo. Di nuovo con il 1998, che nel frattempo si è evoluto in cantina 13 anni, mentre i suoi successori prendevano vita assieme alla consapevolezza di Claudio Bisi, titolare dell'azienda. La consapevolezza di avere tra le mani un vino per certi versi unico, diverso ogni vendemmia eppure sempre legato da un filo conduttore che lo rende immediatamente riconoscibile.

Proprio per questo motivo, la scelta delle quattro annate da presentare nella serata di OltreLaStoria non è stata facile. Scontata la presenza del 1998 - un applauso a quei produttori capaci di serbare le vecchie annate - e del 2009, ovvero l'annata attualmente in commercio, c’era tutto un mondo da scoprire in mezzo. Dopo la memorabile verticale completa fatta con Claudio due anni fa in azienda e quella con Claudio e Roger in vista della serata, dopo un lungo ballottaggio tra 2007 e 2005 optiamo per quest’ultimo nonché per l’anomala annata 2002 - anomala spiegheremo in seguito perché.

Claudio Bisi è un tipo schivo - lo scriviamo una volta sola perché è talmente schivo da non volere neppure che si scriva di lui che è schivo. La cosa assurda, però, è che questo suo vino sia appena sfiorato dall’informazione vinicola: se ne trova traccia a fatica su Internet, e non sempre qualche presunto solone del settore ne parla come meriterebbe. Sicché siamo ben contenti di riempire una volta ancora il ristorante con la promessa del Roncolongo e di un menu particolarmente succulento.

Oltre a Danilo Gatti di World Wine Passion, ci fa piacere ospitare per la prima volta a OltreLaStoria Matteo Marenghi, giornalista ed ex direttore del Consorzio Tutela Vini dell'Oltrepò Pavese, e diversi rappresentanti dell'associazione Enocuriosi, guidati da Enrico Crespi dell'enoteca I Crespi di Pavia.

E - a testimonianza della stima di cui Claudio gode fra i colleghi - sono presenti anche diversi produttori della regione: dal giovane Stefano Calatroni a Sandro Torti, a Marzia Cordini (grande amica di OltreLaStoria) e Maria Teresa Quaquarini.

Inizia la serata: presentazione emozionale da parte mia e rigorosa da parte di Claudio, asciutto nel corpo e nello spirito. Il Roncolongo nasce da un vigneto posto ad un'altitudine di 180 metri su terreni calcarei. L'inerbimento è spontaneo, le rese sono basse, la raccolta delle uve, che avviene nel momento della piena maturazione polifenolica degli acini, è effettuata manualmente in cassetta. Le uve raccolte sono scrupolosamente selezionate a mano sul tavolo di cernita in azienda. Il mosto resta anche 30 giorni sulle bucce e la fermentazione è ottenuta tramite lieviti indigeni. Il vino non subisce alcuna filtrazione o chiarifica e si affina successivamente in barrique nuove di quercia francese per 15-18 mesi ai quali seguono altri 12 mesi di affinamento in bottiglia.

Terminate le doverose precisazioni tecniche, si parte! Il cotechino con sformato di Parmigiano Reggiano fa venire l’acquolina in bocca e così il Roncolongo 2009, giovane ed esuberante, dal colore impenetrabile, ricco nella materia fruttata, profumato e netto con la sciabolata acida tipica della Barbera, lungo e promettente nella prospettiva dell’invecchiamento. Caratteristica peculiare, sulla quale concordano tutti, è che non sembra un vino che trascorre molti mesi in barrique nuove; quel sentore di vaniglia che rende tanti, troppi vini quasi caricaturali e tutti uguali fra loro, qui è appena accennato in sottofondo.

Nel frattempo si versa nei bicchieri il Roncolongo 2005. Per il primo piatto, il risotto con ragù di anatra, occorre aspettare un po’, e ciò è bene: dà modo al vino di aprirsi nel bicchiere e a tutti noi di seguirne la complessa evoluzione aromatica. Inizialmente un po’ chiuso, escono poi le note balsamiche, le spezie, il frutto del vitigno che inizialmente pare un po’ come sedato, la liquirizia, la caramella al rabarbaro, quella quadrata piatta dei nonni, e poi la potenza in bocca che non penalizza l’eleganza, con un rigore varietale e un finale lunghissimo. Un vinone, certo, ma aggraziato, che tende inevitabilmente a sovrastare la delicatezza del piatto.

Veniamo dunque all’anomalia: il Roncolongo 2002. Che non è un Roncolongo, a dispetto di quanto riportato sul tappo. Perché in quella piovosissima annata Claudio, non soddisfatto fino in fondo di quanto finito in bottiglia, decise di declassare il vino e non commercializzarlo come Roncolongo. Col passare degli anni, però, quelle poche bottiglie rimaste in cantina - mentre la massa era andata ad arricchire la Barbera Pezzabianca (cioè la Barbera base dell'azienda), hanno preteso di riacquistare una propria dignità.

E in questa circostanza capitavano proprio a fagiolo, visto che il menu contemplava un piatto intermedio - il surbir di ravioli - prima del gran finale. Ed eccolo, dunque, questo vino reietto, un “piccolo” Roncolongo, certo non ampio e ricco come quelli delle annate migliori, tuttavia riconoscibile, preciso, varietale, con accenti di frutta e floreali (viola), un po’ monolitico inevitabilmente, comunque una Barbera più che gradevole a undici anni dalla vendemmia.

Il gran finale: cinghiale stufato con polenta e quel Roncolongo 1998. Che risponde sempre “presente!”, ogni volta che lo si assaggia - chissà ancora per quanto tempo. Evoluto, maturo, ma sempre lui, affascinante, con il frutto che si fa confettura e i sentori terziari che prendono il sopravvento, la liquirizia, l’inchiostro, il rabarbaro, il colore che non cede, la profondità, le note quasi di idrocarburo. Inutile sottolineare il perfetto sposalizio con il piatto.

Infine, Claudio riserva un’altra sorpresa per gli ospiti: la sua Malvasia Passita Villa Marone 2010 offerta come extra ad accompagnare la zuppetta di ananas profumata allo zenzero.

Un ringraziamento particolare all’amico Danilo Gatti che, stante le mie imperfette condizioni fisiche per influenza, ha cortesemente acconsentito a condurre la degustazione in mia vece.

Francesco Beghi

Ringraziamo Mauro Rossini per le fotografie