Quinta serata di OltreLaStoria, e secondo appuntamento con il Pinot Nero vinificato in rosso. Questa volta è protagonista il Pernice, cru della Valle Scuropasso di proprietà dei Conti Vistarino, già segnalato nel 1961 da Luigi Veronelli come luogo d’eccellenza per la produzione di Pinot Nero nel suo mai abbastanza lodato (e mai abbastanza seguito) “I vini d’Italia”.
Sarebbe stato bello vedere seduto ai tavoli qualche altro produttore di Pinot Nero oltrepadano per discutere, confrontarsi, parlare di questo vitigno così variegato e in mille accezioni declinabile. Sarebbe stato bello. Appunto. In compenso, registriamo la presenza di appassionati che arrivano da fuori provincia e quella di amici wine lover come Danilo Gatti di World Wine Passion, Francesco Cannizzaro e Gabriele Scalici di Appunti di Degustazione e Mirella Vilardi, redattrice del bimestrale Oltre e autrice anche del blog Notte di Festa.
Via, si parte con la serata, introdotta dai lampeggianti occhi azzurri di Ottavia Giorgi di Vistarino, la Don Quixote della Valle Scuropasso. Citando il recente libro di Luciano Maffi "Natura docens. Vignaioli e sviluppo economico dell'Oltrepò Pavese nel XIX secolo", Ottavia ci ricorda che fu il conte Augusto Giorgi di Vistarino a importare dalla Francia attorno al 1860 le prime barbatelle di pinot nero in Valle Scuropasso e a trarne un "rosso da pasto", anziché utilizzare le uve per basi spumante. La storia moderna del Pernice, però, inizia nel 1997 sotto la guida enologica di Giancarlo Scaglione prima e di Giacomo Barbero e Alberto Musatti successivamente.
Nel 2003 l'azienda decide di produrre il Pernice esclusivamente con le uve dell’omonima vigna, posta nei pressi di Cascina Pernice (a un’altitudine compresa tra i 250 e i 300 metri circa) su un terreno limoso-argilloso con esposizione sud. Alberto Roveda, responsabile commerciale dell'azienda, ricorda brevemente le note tecniche del vino: breve macerazione a 10 °C per ventiquattro ore, inizio fermentazione a 20 °C con innalzamento progressivo della temperatura per sette giorni con due rimontaggi al giorno, svinatura, travaso e fermentazione malolattica in piccoli carati di legno francese di media tostatura con un bâtonnage a settimana e affinamento in barrique per otto mesi.
Si comincia con il Pernice 2010, giovanissimo e non ancora in commercio, come testimonia il tannino esuberante di bella grana. Non mancano i profumi, dalla violetta ai frutti di bosco, con mora e mirtillo a irrobustire il nerbo acido. Tempo al tempo, la struttura c’è, l’eleganza pure, qualche anno di bottiglia e verrà fuori un gran bel Pinot Nero. Il salame di testa proposto da Giorgio Liberti è l’ideale per stemperarne gli ardori adolescenziali.
Il Pernice 2009 che segue non si discosta troppo dal precedente. Il colore è sempre granato di una certa intensità, come si conviene ai Pinot Nero oltrepadani che, vuoi per il clima vuoi per la composizione del terreno, tendono a essere di colore decisamente più marcato rispetto ai confratelli provenienti da latitudini più elevate. Spezie, frutti di bosco, eleganza, finezza, il corredo del Pinot Nero è quello da manuale. Il tannino si fa parecchio sentire, del resto si tratta di un vino ancora un po’ acerbo, molto profondo nel finale. Mi vien da dire che questo vino deve ancora decidere cosa vuol diventare da grande. Perfetto l’abbinamento con le animelle di vitello croccanti accompagnate da salsa di funghi champignon, un piccolo capolavoro di Daniela Calvi, ispirato a una delle "ricette immorali" di Manuel Vázquez Montalbán.
Con gli agnolotti di stufato al burro d’alpeggio e granone lodigiano di 24 mesi viene servito il Pernice 2006. Nella degustazione tenuta in azienda insieme a Ottavia, Giacomo Barbero e Alberto Musatti per scegliere le annate della serata lo avevamo individuato come il più compiuto e maturo. E in effetti è proprio così: bellissimo il colore, con il granato che inizia a venarsi di tenui note aranciate, mentre il bouquet è ampio, complesso, frutti di bosco e spezie, tonalità balsamiche e liquirizia, caffè ed erbe aromatiche. In bocca il tannino è arrotondato, levigato, e il vino si insinua intrigante, armonico, lungo e profondo. Ah, il Pinot Nero! I commensali ragionano e si guardano soddisfatti.
Tocca ora all’agnello del Passo Carmine al forno con patate al rosmarino. Il Pernice 2003 è una scommessa: l’annata torrida non è stata certo l’ideale per un’uva femminina che ama più gli sbalzi di temperature e il fresco come le uve bianche, ma è proprio in queste circostanze estreme che emerge il carattere del cru. I francesi l’hanno capito centinaia di anni fa, dai e dai ci stiamo arrivando anche noi. Infatti, due sono le caratteristiche che colpiscono di più: la coerenza aromatica con le tre annate degustate in precedenza e l'acidità, che hanno mantenuto vivo questo vino senza stravolgerne le caratteristiche, a parte qualche inevitabile - ma non pesante - accenno di frutta sovramatura. Il resto della serata, come di consueto, è chiacchiera tra gli ospiti sorbendo la zuppetta di ananas profumata allo zenzero.
Francesco Beghi
Ringraziamo Mauro Rossini e Ottavia Giorgi di Vistarino per le fotografie.
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