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mercoledì 5 febbraio 2014

Il Buttafuoco Bricco Riva Bianca
di Andrea Picchioni:
appunti dalla serata del 15/11/2013

Dopo aver ahimè saltato l’ottavo appuntamento di OltreLastoria per indisposizione, eccomi di nuovo alla barra di comando per la serata dedicata a quel “diavolo d’un Picchioni”, come ebbi a definirlo una volta sulla guida del Gambero Rosso e come lui stesso non ha mancato di ricordare nel corso dell’introduzione.

A differenza di tanti altri giovani vignaioli oltrepadani e non solo, Andrea Picchioni non ha ereditato l’azienda di famiglia ma l’ha fondata di sua iniziativa, a soli 21 anni, nel 1988, con l’indispensabile supporto di babbo Gino, mamma Rosa, della moglie Silvia e, a partire dal 1995, dell’enologo/agronomo “parassita” (la definizione è sua e naturalmente è ironica, dato che i parassiti lui li combatte nel vigneto) Beppe Zatti da Castana.

La serata si preannuncia frizzante, anche se il vino è fermo: 65 persone nonostante la pioggia, con un buon numero di amici che non faranno mancare spunti di discussione. L’ospite a sorpresa è Lino Maga, il Grande Vecchio dell’Oltrepò, l’uomo che ha fatto di Barbacarlo leggenda. La rappresentanza oltrepadana annovera anche Giulio Fiamberti, Franco Pellegrini, Alessandro Torti, Antonella Tacci e Raimondo Lombardi dell'azienda Martilde e la promettente new entry Barbara Avellino. Dai vicini Colli Tortonesi è venuto a trovarci l'istrionico Valter Massa, pioniere della riscoperta del Timorasso, insieme al fido Pigi. Il parterre de rois è completato infine da Fernando Pardini della guida dell'Espresso e del periodico on line L'AcquaBuona, Paolo Camozzi di Slow Wine, Alberto Farinasso di Slow Food, Riccardo Modesti della guida Vini Buoni d'Italia (e recentemente ritornato nella squadra de L'AcquaBuona) e Danilo Gatti di World Wine Passion.

Dopo la presentazione in un duetto alla Gianni e Pinotto con Roger, la parola passa al protagonista. Andrea Picchioni ricorda che il Bricco Riva Bianca, prodotto per la prima volta nel 1995, nasce dalla vinificazione congiunta di croatina, barbera e ughetta di Canneto (detta anche vespolina) raccolte manualmente in un singolo vigneto sugli scoscesi pendii della Valle Solinga.

Il "Picchio" crede fermamente nel Buttafuoco: prodotto solo con uve autoctone e solo in una ristretta area dell'Oltrepò orientale (come abbiamo ricordato in questo articolo), è un vino dalla precisa e inconfondibile identità territoriale. Identità che andrebbe però ulteriormente rafforzata escludendo dalla DOC la versione frizzante. Dopo la (breve) polemica, il momento delle curiosità. Andrea ci dice infatti di essere da qualche anno proprietario della vigna Buttafuoco (nome attestato da un atto notarile del 1861), che - al di là di leggende e fantasiosi aneddoti - potrebbe aver dato il nome alla denominazione.

È‎ tempo di mettere alla prova questo Buttafuoco che negli anni ha ricevuto diversi riconoscimenti, culminati con l'inclusione dell'annata 2009 fra i vini italiani d'eccellenza della Guida dell'Espresso 2014 grazie a una brillante valutazione di 18,5/20. Ed ecco il Bricco Riva Bianca 2009 nel bicchiere: ancora giovane, ha un naso in cui emerge subito la nota balsamica tipica della Solinga, poi frutti di bosco a bacca nera e spezie. Sorprende la levigatezza del tannino rispetto alle edizioni precedenti quando si trovavano in questo stadio giovanile. Ha un architrave di acidità e materia che promette lunga e fruttuosa maturazione per il futuro. Le animelle croccanti di vitello con crema di champignon riscuotono il consueto successo anche se sono un po’ sovrastate dalla forza del vino.

All'arrivo del risotto della Zia Carla con piccione stufato in casseruola il discorso cambia. Il Bricco Riva Bianca 2004 è lo stato dell’arte di questo Buttafuoco. In Solinga è stata una bella vendemmia a differenza che nel resto della zona e si sente. Naso ampio, accattivante, balsamico con sentori di menta e rosmarino, poi una cascata di frutti, dal ribes alla prugna alla marasca, le spezie a corredo; è nitido, preciso, senza sbavature, con bocca armonica, piena, complessa. Lungo nel finale giocato su toni di liquirizia. Bellissimo anche il colore rubino vivo, ha ancora molti anni davanti a sé e l’abbinamento col piatto è semplicemente perfetto.

A questo punto, ci prendiamo un pausa di riflessione con un piatto più neutro, il surbir di ravioli, che si abbina tutto sommato bene al Bricco Riva Bianca 2003. L’annata è stata torrida, ma il clima ventilato della Valle Solinga, con buone escursioni termiche, ha aiutato a mantenere freschezza. Il naso è un po’ statico, il frutto e i sentori balsamici sono presenti ma non in maniera così esplosiva come nel 2004; in bocca è pieno, accattivante, rotondo, non dà segni di stanchezza grazie ad una bella acidità. È al suo meglio anche se probabilmente avrà vita meno lunga rispetto al 2004.

A questo punto siamo pronti per il gran finale. Il Bricco Riva Bianca 1998, la quarta annata prodotta, è servito da bottiglie in formato magnum. Sorprende innanzitutto la tenuta del colore, un rubino brillante solo lievemente virato verso note più aranciate; il naso è naturalmente più evoluto, la componente balsamica di eucalipto è sempre presente, il frutto di bosco tende alla confettura e una nota di goudron è lì a ricordare i quindici anni trascorsi dalla vendemmia. Bello e armonico il tannino, ancora sostenuto il nerbo, ha spalla, è un anziano austero signore dal bel portamento e dal passo saldo ancorché non lunghissimo. La lepre in salmì con polenta ne accompagna alla grande il percorso.

E' il momento degli interventi finali: Valter Massa, animato dalla sua incontenibile verve, se la prende con le istituzioni che non accordano ai piccoli produttori artigiani sufficiente attenzione e tutela, mentre Lino Maga, con la sua proverbiale pacatezza e le sue pause, si complimenta con Andrea per il vino e prende in giro come suo consueto noi degustatori che cerchiamo ogni sorta di profumi dimenticandoci sempre di dire che prima di tutto il vino dovrebbe “sapere d’uva”. Infine, relax e chiacchiere con la zuppetta tiepida di cachi con infusione di cioccolato fondente e gelato alla cannella.
Arrivederci al 2014!

Francesco Beghi

Ringraziamo Mauro Rossini per le foto















martedì 12 novembre 2013

Il Buttafuoco Storico
di Giulio Fiamberti:
appunti dalla serata del 25/10/2013

L’esperienza, questa volta, per me è nuova: assente giustificato causa influenza, racconto l’ottava serata di OltreLaStoria in contumacia grazie alle testimonianze e agli appunti del fido Roger Marchi, jolly prezioso della nostra iniziativa.

Il Buttafuoco, dunque: nome evocativo, vino ostico, difficile da spiegare e da comprendere. Il Club del Buttafuoco Storico, di cui l’azienda Fiamberti è fra i fondatori, impone la vinificazione congiunta delle uve che concorrono a farne parte - croatina, barbera, uva rara, ughetta di Canneto - con i relativi problemi dovuti ai differenti tempi di maturazione. Questo per motivi storici, appunto: un tempo i vigneti erano misti, le piante mischiate fra loro e la raccolta separata impossibile anche volendo. I vigneti nuovi naturalmente non sono più impiantati così. Tuttavia, dato che le vigne del Buttafuoco sono poste in piccole, ripide, strette vallate con escursioni termiche molto differenti tra bricchi e fondovalle, l’escamotage più comune è quello di piantare la croatina, dalla buccia più spessa e dalla maturazione più tardiva, in cima al vigneto e la barbera, più precoce, alla base per preservarne l’acidità peculiare ed evitarne la sovramaturazione. Fine della parentesi tecnica.

Mentre si stappa il Fiamberti Brut, Metodo Classico 100% pinot nero, OltreLaStoria accoglie con grande piacere dal Piemonte Guido Ceste della casa vinicola Ceste di Govone d'Alba e Alessandra Destefanis di Merum, oltre ad amici come Gabriele Scalici e Francesco Cannizzaro del blog Appunti di Degustazione e Stefania Padroggi dell'azienda Cà del Gè di Montalto Pavese, che ha presentato da poco il suo Buttafuoco Fajro.

Una quarantina di persone si accomoda ai tavoli per assistere come di consueto alla tenzone tra i bicchieri e i piatti ammanniti da Daniela Calvi. Si va a incominciare. Data l’assenza del sottoscritto, si sfrutta la competenza di alcuni ospiti per condurre la degustazione delle quattro annate di Buttafuoco Storico proposte. È consolante sapere che Giorgio Liberti rimarcherà più volte nel corso della serata il fatto che la mia assenza non si è per nulla fatta sentire.

Roger introduce brevemente la serata e Giulio Fiamberti, attuale titolare dell'azienda, ripercorre la storia vinicola della propria famiglia, mostrando con orgoglio un documento che data al 1814 l'acquisto della Vigna Solenga. I Fiamberti hanno sempre valorizzato le uve di questo cru: nella cantina dell'azienda abbiamo visto bottiglie del 1949 stoccate come "Vigna Solenga" ancora senza il marchio aziendale, ma con un'etichetta recante l'anno. E nel primo catalogo Fiamberti del 1966 ritroviamo infatti il Solenga, "vino ottenuto da uve maturate sulle colline più solatie". Non a caso, al momento della fondazione del Club del Buttafuoco Storico nel 1996, la vigna prescelta dai Fiamberti sarà proprio la Solenga. Dopo alcuni cenni al disciplinare interno del Club, si parte.

Primo Buttafuoco della serata è il Vigna Sacca del Prete 2007, giacché la Vigna Solenga è in fase di reimpianto e tornerà a produrre Buttafuoco Storico dal 2014. Giulio spiega che nel corso degli anni l'esperienza ha consigliato di aumentare l'affinamento del vino a 5/6 anni (2 in legno) contro gli iniziali 2/3. In cattedra Maurizio Barone, vecchio amico nonché Consigliere Nazionale FISAR e tifoso del Buttafuoco Storico. Vino ancora giovane, mostra notevole acidità e un tannino bello, ancora molto presente. Il colore è intenso, quasi impenetrabile: del resto l’Oltrepò è una terra che dà colore ai vini. Al naso appare molto chiuso inizialmente, poi si apre pian piano: prima sensazioni eteree, poi spezie, confettura di frutta rossa. Piena rispondenza gusto-olfattiva e buona piacevolezza di beva nonostante la struttura e l’elevato grado alcolico (14,5%). L’abbinamento con il cotechino risulta perfetto.

Si salta di quattro anni e si arriva al Vigna Solenga 2003, degustato dal nostro Matteo Bertè. Nasce da una vendemmia estremamente calda, quando le uve sono state raccolte anche con 10-15 giorni di anticipo. Al naso presenta inizialmente un filo di riduzione e note eteree, poi lascia spazio a una buona complessità, con note sovramature tipiche, ma piacevoli: è confettura di frutta rossa, non frutta stracotta. Emergono anche una componente balsamica (tipica della Valle Solinga) e sentori di tartufo e fungo secco. In bocca è piacevole, con un bell’equilibrio fra eleganza e potenza e un tannino ammorbidito ma ancora ben presente. La zuppa di ceci con costine di maiale è un bel piatto ma un Buttafuoco così potente tende a sovrastarlo.

Si passa così al Vigna Solenga 2000: la degustazione è introdotta da Guido Ceste, che confessa il suo stupore nei confronti del Buttafuoco, vino che "non avrà l'eleganza dei vini a base nebbiolo piemontesi", ma che se la gioca sulla generosità, uscendo bene anche sulla distanza, come testimoniano i tredici anni vissuti egregiamente dal Vigna Solenga 2000. Tocca poi a Giulio Fiamberti in persona degustare il suo vino: al naso prugna sotto spirito, confettura di frutti rossi, spezie (pepe), liquirizia, note terziarie di caffè, tabacco. Ancora vivo, morbido, mantiene struttura e pienezza, ma anche una buona bevibilità. Affascinante l’abbinamento con un piatto di stagione come il risotto con zucca e funghi porcini secchi.

Danilo Gatti di World Wine Passion ospite ormai fisso delle nostre serate, si accolla l’onere e l’onore di condurre la degustazione del Vigna Solenga 1998. Questa la sua descrizione: vino integro, sano, pulito, raffinato. Al naso, dopo un’iniziale riduzione, arrivano sentori eterei, poi terziari con una nota di inchiostro di stilografica e per ultima la frutta, mora sotto spirito. Un vino ricco, denso, ma non “marmellatoso” né piacione. Il colore, per essere un vino di 15 anni, è ancora vivo, intenso, senza unghie granata. Sorprendente l'omogeneità cromatica con le annate più giovani. I tannini sono perfettamente amalgamati e l’alcool, pur presente (sono tutti vini di elevata alcolicità), appare come compresso, non compromettendo la beva. In bocca mostra grande integrità, lunga persistenza e ancora buona piacevolezza di beva. La guancia di manzo brasata al Buttafuoco con polenta macinata a pietra del mulino Bruciamonti è la morte sua.

La serata si conclude con il salame di cioccolato con mandorle, pistacchi e albicocche secche accompagnato dal Buttafuoco Chinato Ambrosia. Come il nettare degli dei, certo, ma anche un gioco di parole in omaggio ad Ambrogio Fiamberti, il padre di Giulio, che sornione ha tenuto sotto controllo la serata dietro i suoi occhi azzurri.
À bientôt!

Francesco Beghi

Ringraziamo Mauro Rossini per le fotografie



Cartina del territorio di Canneto Pavese tratta da
"Canneto e la sua storia attraverso... le cartoline. Vol. 1" di Pietro Del Monte.